martedì 30 gennaio 2007

Napoli per noi

Il nostro elettorato su alcuni temi è piuttosto sensibile

Nel piccolo paesello, ieri sera, consiglio comunale aperto in occasione delle iniziative previste per il giorno della memoria.
Il dibattito è stato molto bello e – a tratti – commovente.
Intendo per commovente un aspetto del quotidiano che suscita coinvolgimento emotivo, empatia, immedesimazione.
Così è stato, almeno per me (ma molti hanno condiviso questo sentimento, non bisogna sottovalutare l’umanità, a volte affiora).
Una signora ebrea, figlia di deportati, non è riuscita a terminare il suo intervento-testimonianza: ricordare le vicissitudini del padre e della madre le è risultato evidentemente troppo doloroso.
“Credetemi – ha detto – alcune volte ce la faccio. Stavolta non ha funzionato neppure l’escamotage al quale di solito ricorro”.
Nel bel mezzo del suo intervento – infatti – già colta dalle prime avvisaglie dell’insostenibile, la signora si era interrotta, aveva estratto dalla sua borsetta un foglio di carta ed aveva iniziato a leggerne il contenuto: era la bolletta dell’enel.
Queste emozioni non sono state condivise da cinque consiglieri, quattro di destra (tre fascisti di alleanza nazionale e uno di alternativa sociale) ed uno di centrosinistra.
I primi quattro sono giustificati di per sé (sono fascisti) l’altro (o l’altra) “aveva una visita”.
Ai presenti è rimasto tuttavia il dubbio che il democratico personaggio non condividesse sino in fondo la scelta dei relatori.
Passi per un’ebrea figlia di ebrei. Ma che ci facevano un omosessuale ed uno zingaro?
Si era forse considerata fino in fondo “l’opportunità” di tale iniziativa?
“Il nostro elettorato, su alcuni temi, è piuttosto sensibile”.

sabato 27 gennaio 2007

D'Alema Condolcezza

Capisco che fare il ministro degli esteri sia attività estremamente complessa, e che mediazioni e compromessi siano inevitabili.
La diplomazia, per essere tale, rifugge dagli integralismi.
Tuttavia, le parole del nostro ministro degli esteri Massimo d’Alema “il ritiro dall’Afghanistan è semplicemente impensabile” mi appaiono davvero poco politiche, e questo è molto strano per un uomo che si vanta di essere un fine stratega.
Che cosa è la politica, infatti, se non la pratica (anche) dell’impensabile per raggiungere ciò che è possibile?
Fino a qualche mese fa pure il ritiro dall’Iraq sarebbe apparso impensabile. A quei tempi il presidente del Consiglio era Berlusconi, ma “Condolcezza Rice” era già quella che è oggi, anche se D’Alema non andava ai suoi briefing.
Eppure dall’Iraq abbiamo tolto le tende, e nessuno – mi pare – sente la nostra mancanza.
Ho dei pregiudizi – lo confesso – su Massimo D’Alema, anzi, ad essere più precisi, ho un preciso giudizio su questo personaggio che anima le vicende della sinistra(?) italiana sin da quando reputò al contrario non soltanto pensabile ma anche praticabile bombardare i civili serbi.
Non lo espliciterò qui questo giudizio, perché sono un uomo elegante che non ama ricorrere al turpiloquio.
Dirò semplicemente che non mi sta affatto simpatico e che anche quando per sbaglio ci azzecca – come forse sul Libano – non riesco ad apprezzarlo fino in fondo.
E’ come se recitasse una parte che non lo convince, e suona stonato.
Sembra molto più Massimo d’Alema quando mostra i muscoli, va a cena con la Rice, si compiace dei suoi ringraziamenti e discetta su ciò che è pensabile e ciò che non lo è.
Che in Afghanistan vi sia una guerra voluta dalla Junta golpista- fascista che continua a governare negli Stati Uniti sembra non disturbarlo più di tanto.

domenica 21 gennaio 2007

Vicenza, Opera, i Rom e la Nato

Leggo, nell’unico quotidiano che valga la pena acquistare sacrificando uno dei cinque caffè della giornata (il Manifesto) un appropriato articolo di Manuela Cartosio.
Lo cito nei suoi punti più significativi:

“Opera-Vicenza. Da una parte residenti scatenati, sul filo del pogrom, contro i rom. Dall’altra una lotta corale e pacifica contro il raddoppio della base Nato. La contemporaneità delle due vicende induce qualche sgradevole considerazione. Pur nell’abissale diversità, hanno un elemento in comune: il territorio. La difesa del proprio spazio, del luogo in cui si vive, non è di per sé cosa buona e giusta”.

E ancora più avanti:

“..settanta “zingari” parcheggiati temporaneamente a Vicenza, o in un paese della Val di Susa, sarebbero accolti meglio che a Opera?”.

La domanda è in tutta evidenza retorica, e la risposta suggerita è “no”: gli zingari starebbero sulle scatole sia ai cittadini di Vicenza che a quelli di Venaus. Il pregiudizio antirom è purtoppo assai radicato, direi pressoché universale, i motivi cercheremo di approfondirli in altri post.
Ha ragione la signora Cartosio, la difesa del proprio territorio non sempre è cosa buona e giusta, verrebbe da dire che la luce di ogni battaglia risplende a seconda del motivo per cui è condotta.
“Noi” le facciamo per costruire una società più giusta, civile e solidale, “loro” l’inverso.
Il problema è quando i noi ed i loro si mescolano, in un caleidoscopio di opposti e contrari che sollecita ulteriori riflessioni: la realtà è infinitamente più complessa rispetto ad ogni sua interpretazione.
Questo non significa che non sia possibile un ragionamento scientifico intorno alle società ed alle dinamiche che le attraversano, ma ogni riflessione deve assumere come costitutiva la certezza della propria insufficienza: la realtà trabocca, inevitabilmente, e scivola via – malefico serpente - quando pensi di averla costretta – per sempre – entro le gabbie del tuo sistema.
Sia ad Opera che a Vicenza le cronache ci raccontano (schematizzo) di comitati anti-rom e anti-Nato politicamente piuttosto eterogenei.
Occupiamoci del primo corno del problema.
Sono del parere che qualsiasi sia la cittadina in cui si realizzasse un referendum intorno al quesito fondamentale: “vuoi tu un campo rom?” vedrebbe la maggioranza dei cittadini votare per il no (e spero di essere smentito).
E allora, come la mettiamo con la questione della partecipazione, il ragionamento – giustissimo peraltro – che nessuna decisione può essere presa senza la preventiva condivisione del progetto con le comunità di riferimento e la sua successiva accettazione?
Di fronte ad una vittoria dei no, dove li metteremmo questi rom?
Primo: nessun progetto che riguardi i rom viene preventivamente discusso con la popolazione locale, perché si ha paura che il progetto morirebbe sul nascere.
Non me la sento di affermare che questo timore sia privo di una sua consistenza, tuttavia o la questione della partecipazione la si affronta dall’inizio alla fine oppure l’intero ragionamento è monco.
Secondo: il quesito nasconde una realtà, i rom appunto – che sarebbero l’oggetto del referendum – non voterebbero (al pari dei militari americani, peraltro, con la sostanziale differenza che questi ultimi godono almeno in patria di alcuni diritti, tra cui quelli politici, i primi sono in una condizione di assoluta extraterritorialità, nel senso che sono “fuori” da ogni territorio e perciò privi di ogni diritto).
Terzo: il problema è mal posto.
Si vuol parlare di integrazione dei rom?
Prima dei referendum locali occorrerebbe un passaggio a livello nazionale: il riconoscimento dei rom come minoranza e la conseguente attribuzione agli stessi di un livello minimo di diritti, spendibili perché riconosciuti per legge.
Stabilito il principio che i rom hanno il diritto a stare qui – senza il quale non si va da alcuna parte - la risposta praticabile non è certo quella dei campi, situati di solito nei pressi delle discariche, quasi a stabilire un’offensiva analogia tra uomini, donne, vecchi e bambini da una parte e rifiuti dall’altra.
Molti Rom provengono dalla Romania, ove abitavano in normali condomini, ne sono stati scacciati quando il crollo del comunismo ha dato la stura a pregiudizi che covavano da tempo: l’immagine del coperchio che salta sopra una pentola che bolle penso sia quella più adatta.
E’ necessario trovare le case ove alloggiarli: leggo che le famiglie rom non accettano di essere “disperse” nel territorio. La soluzione più appropriata consisterebbe allora nel costruire villaggi rispettosi delle loro tradizioni, come mi sembra sia avvenuto in Portogallo ad opera del genio dell’architetto Alvaro Siza e della illuminata amministrazione della città di Evora.
Questa soluzione si trascinerebbe inevitabilmente dietro molte polemiche e l’ostilità della popolazione locale: “perché costruire le case per gli zingari quando siamo “noi” a non averle?”.
Quindi, o attraverso un ragionamento comune con i rom li si convince che debbono abitare non solo in condomini diversi ma anche in città diverse, e rimane comunque il problema di trovare alloggi liberi, oppure si trovano le risorse necessarie per attenuare il risentimento degli autoctoni, ovvero, in estrema sintesi, alloggi per tutti coloro che ne hanno bisogno, romanes o italiani che siano.
Qui torniamo, ancora una volta, alla questione delle risorse: come e da chi vengono prodotte, come e da chi vengono reperite, come e da chi vengono impiegate.
E allora Marx diviene inevitabile.