lunedì 10 dicembre 2007

LA SINISTRA, PER FAVORE!


Questo popolo di donne ed uomini, che ancora non si rassegna, ed intuisce e spera e progetta, faticosamente, testardamente, un mondo altro.
Questo popolo a cui appartengo, con la mia testa e le mie viscere, con il mio sangue, che pulsa nelle vene, e che si libera rosso, di quando in quando, trasformato in parole, pensieri, e concetti, ed agito in pratiche di resistenza.

A questo popolo non arreso, disperso nei molteplici rivoli del vivere quotidiano, va il mio ringraziamento per la sua persistente esistenza, sempre in direzione ostinata e contraria.

domenica 11 novembre 2007

Barzellette. Sui poliziotti

Un poliziotto spara in aria ed ammazza un tifoso della Lazio: Gabriele Sandri.
Gabriele volava.
Come Carlo Giuliani.

Un altro tragico errore?


Sembra che le forze dell'ordine abbiano compiuto "un altro tragico errore".
Oops,mi è scappato un proiettile, oops, ho ammazzato un altro ragazzo.
Ooops....
Ooops Carlo Giuliani
Ooops Federico Aldrovandi
Ooops... Gabriele Sandri

Ooops.....

lunedì 22 ottobre 2007

domenica 21 ottobre 2007

IlMilione




Intanto beccatevi sto milione

Ieri a Roma alla manifestazione della sinistra (l'unica sinistra che è rimasta dopo le gazebate di veltroni) un milione di persone.
Occorre altro?

sabato 13 ottobre 2007

Domani primarie: pecore al pascolo.


Qualcuno le spaccerà per grande evento partecipativo. In realtà, le primarie per il partito democratico si risolveranno in una incoronazione plebiscitaria di Walter Veltroni, che il Sindaco del mio paese definisce "uomo di grande carisma".
Come Mussolini e Stalin, insomma.
Domani le pecore torneranno a belare dentro il loro fiume di lana, irreggimentate dalle residue strutture del partito comunista e della parrocchia, consigliate da sindacalisti servi, lusingate da pacche sulle spalle di padroni paternalisti: sceglieranno il loro pastore e per un giorno avranno l'illusione di essere nell'evento, come gli ignoti all'isola dei famosi.
Ma è solo un trucco: dopodomani ritornaranno ai loro gioghi, e Veltroni (o Cofferati) spiegheranno loro che è tutta colpa dei romeni se le cose non verranno come loro avrebbero voluto.

Buone primarie a tutti.

domenica 7 ottobre 2007

infine, spazio per l'umano

"Una volta nei torrenti di montagna c'erano i salmerini. Li potevi vedere fermi nell'acqua ambrata con la punta bianca delle pinne che ondeggiava piano nella corrente. Li prendevi in mano e odoravano di muschio. Erano lucenti e forti e si torcevano su se stessi. Sul dorso avevano dei disegni a vermicelli che erano mappe del mondo in divenire. Mappe e labirinti. Di una cosa che non si poteva rimettere a posto. Che non si poteva riaggiustare.
Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell'uomo, e vibrava di mistero".

Cormac Mc Carthy, La strada.

mercoledì 3 ottobre 2007

Protocollo sul welfare

Ieri notte ho inviato una mail ad un giornalista de La Nazione. Prima gli ho fatto la corte. Si fa così: lo si chiama al telefono, si utilizza un tono dolce della voce, leggermente ammiccante. Un pò come con una bella donna. Differisce solo l'obiettivo: la pubblicazione della lettera nel primo caso, nel secondo..., beh nel secondo dipende dal momento, e dalla donna.
Dunque: era una lettera in cui invitavo a votare No al referendum promosso dai sindacati sull'accordo di luglio su welfare e pensioni.
Ne caldeggiavo la pubblicazione sul quotidiano.
Aldilà del merito, il metodo fa molta tristezza:
Ma mi rincuoro, il mio sindacato fa ancora peggio: mi è arrivata una pubblicazione della cgil, a casa, firmata dal segretario regionale.
Mi invita a votare si, il Si è scritto grosso grosso.
L'autonomia del sindacato è andata completamente a puttana, l'accordo fa schifo,i lavoratori stanno sempre peggio, sempre più precari e sottopagati, andranno in pensione più tardi e prenderanno meno soldi.
Veltroni Cofferati e Dominici se la prendono con i lavavetri, il segretario regionale della cgil mi chiede di votare si.
L'unica speranza è il giornalista.

martedì 25 settembre 2007

Liberato Veltroni



Usufruendo tuttavia dell'indulto: vibranti proteste dell'Assessore Cioni. Leonardo Domenici dichiara: con certa sinistra è impossibile governare.

Arrestato Walter Veltroni


Sorpreso a lavare i vetri ad un semaforo a Firenze mentre disegnava un graffito con una bomboletta spray comprata da un venditore ambulante abusivo.

lunedì 10 settembre 2007

ho perso le parole

Nuova missione dell'assessore Cioni di Firenze: sconfiggere la lobby palermitano-napoletana dei parcheggiatori abusivi.
Non si abbia a pensar male, che magari sotto sotto c'è del razzismo. NIente affatto, è solo per la sicurezza.
Di chi?
Ma per esempio pensare a diminuire la tariffa degli asili nido ed aumentare il numero di quelli pubblici sarebbe una cosina brutta brutta?

giovedì 6 settembre 2007

CONTINUANO AD AVERE IL VISO COME IL CULO


E' morto Pavarotti

Tregua per i lavavetri: Veltroni e compagnia parleranno (anche) d'altro.

martedì 4 settembre 2007

HANNO IL VISO COME IL CULO


Nelle loro immonde mani

Siamo nelle loro mani, lorde di merda.
Non c'è più salvezza.
I Sindaci del Partito Democratico, i ministri del Partito Democratico,i giornalisti del Partito Democratico.
E dall'altra parte la destra.
Tutto è nelle loro mani, ed i colpevoli sono, PERCIO', i graffitari, i mendicanti ed i lavavetri.
Non esiste alcuna speranza.
E' un incubo.

giovedì 30 agosto 2007

Uno rientra dalle ferie e..

Uno rientra dalle ferie e vorrebbe dare retta agli esperti: iniziare tutto di nuovo ma con molta, molta calma.
E poi si ritrova Walter (Uolter) Veltroni e Domenici, il Sindaco di Firenze, che se la prende con i lavavetri(cito il Sindaco perchè l'assessore al traffico è un coglione troppo coglione per essere preso sul serio).

Posso tornare al mare?

lunedì 16 luglio 2007

Costituente Socialista

Rinasce il Partito Socialista!
... fate di nuovo attenzione al vostro portafoglio.

martedì 5 giugno 2007

Per Marx



"Se il denaro viene al mondo con una voglia di sangue in faccia, il capitale viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro".

giovedì 31 maggio 2007

La famigghia!

Politiche per la famiglia?
Qui servirebbero magari strutture per difendersi dalla famiglia, soprattutto quella patriarcale e rigidamente eterosessuale.
Andate a chiederlo alle centinaia di donne e di bambini maltrattati all'interno delle mura domestiche.
Quelli e quelle che ancora possono parlare, non ancora sepolti da tre metri di terra.

martedì 29 maggio 2007

Parametri di Maastricht

Ma davvero questi coglioni alla Fassino e alla Padoa Schioppa pensavano di vincere le elezioni basandosi sul rientro nei parametri di Maastricht?
Creare consenso sul rispetto dei dettami del Fondo Monetario Internazionale?
E alla gente che ha pensioni da fame, un lavoro precario di merda e magari non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena cosa gli raccontiamo, che dobbiamo avere i conti a posto altrimenti ci declassano il rating?

Roba da pazzi.

giovedì 5 aprile 2007

I partiti puzzano di vecchio

Il buon Pierluigi Sullo, direttore di Carta, rivendica oggi sul Manifesto la primogenitura del termine "Cantiere". In buona sostanza se il cantiere sociale lo fanno lui ed i "movimenti" va tutto bene, se invece di un cantiere "sociale" Rifondazione Comunista progetta un cantiere "politico" per tentare di far contare un gocciolino di più la sinistra in Italia, ecco la pronta condanna di Sullo: "c'è il rischio che si usino queste parole (cantiere) per corrispondere a un senso comune ormai molto diffuso, anche tra chi è iscritto a un partito, ma svuotandole del loro contenuto forte. Semplicemente, chiamando con nomi nuovi cose vecchie".
La società civile non è immune da contraddizioni, ed movimenti sono sì Vicenza e la Val di Susa, ma anche Opera, l'ameno paesello dove un movimento civilmente razzista sputa sui bambini Rom e brucia le loro tende, sempre in nome della "difesa del proprio territorio" e dell'autodeterminazione delle comunità locali.
E poi, cari compagni non se ne può proprio più: se il solo fatto di essere iscritti a un partito - che nel mio caso è Rifondazione Comunista - significa essere guardati con un'ombra di sospetto viene davvero la voglia di smettere.
O di aderire ad un "movimento", dove fenomeni impuri come "compromessi", mediazioni, organizzazioni e strategie sono considerati roba vecchia.

giovedì 22 marzo 2007

Quei pacifisti alla Gino Strada

Lo sapevo che qualche bastardo avrebbe tirato fuori l'argomento secondo il quale non si può trattare con i talebani, lo sapevo che qualche delinquente avrebbe "incolpato" Gino Strada della liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo, lo sapevo che qualche stronzo tipo Giuliano Ferrara avrebbe addirittura accusato Mastrogiacomo di "intesa con il nemico", per il solo fatto di essersi lasciato fotografare dopo la liberazione vestito alla maniera afghana.
Sapevo tutto questo, ma non conoscevo l'intervento di Piero Fassino sul Corriere della Sera dell'ottobre 2002: "Non siamo pacifisti alla Gino Strada".

Prodromi di Partito Democratico.

lunedì 5 marzo 2007

Eppure



Ricorre l'anniversario della morte di un dittatore: il caro vecchio beppone.
Che di stragi di innocenti ne ha pure compiute.

Eppure se l'Armata Rossa a Stalingrado cedeva, noi avevamo in casa ancora nonno Benito.

Il virus

Quando Massimo D’Alema afferma che di certa sinistra non c’è bisogno nel paese mi chiedo per quale motivo metta bocca negli affari degli altri.
Lui, e Fassino, e anche Veltroni sono ormai ad un passo dal traguardo: la completa dissoluzione qualitativa e quantitativa del fu Partito Comunista Italiano.
In poco più di tre lustri ci sono riusciti, aiutati da qualche intellettuale organico al progetto di autodistruzione, tipo Michele Serra, che passa per essere un tipo intelligente.
Vorrei evitare che questo incredibile successo si propagasse da altre parti, visto e considerato che più che un progetto politico il Partito Democratico mi sembra un virus: sindrome da immunodeficienza acquisita.

domenica 25 febbraio 2007

Per chi crede che Rifondazione sia colpevole


Vi espongo il pensiero di Paola Binetti, leader del partito della Margherita: "Andreotti ha dato il primato alla politica estera ma il discorso con cui giustifica il suo voto negativo può anche essere esteso ai Dico".
Avete festeggiato?
"A dire il vero era mercoledì delle ceneri. Abbiamo digiunato e abbiamo innanzitutto ringraziato il Padreterno perchè solo da lui poteva giungere una mano così inaspettata".

Resto in attesa di una dichiarazione di Massimo D'Alema: un Centro così non fa bene al paese.

sabato 24 febbraio 2007

Il compagno Follini

Dunque Napolitano ha deciso ed il buon vecchio Romanone torna alle camere dove ad attenderlo avrà fiducioso anche il compagno Follini, che ha dichiarato di non avere alcuna difficoltà a votare con Diliberto dopo che ha già votato con Calderoli.
Spero che non confonda le due coalizioni.

venerdì 23 febbraio 2007

Rifondazione Comunista

Il momento non è certo dei migliori: anche se tutti i senatori di Rifondazione (tranne uno) hanno votato la mozione di politica estera del governo Prodi, è bastato un Turigliatto qualunque e siamo finiti tutti e per intero sul banco degli imputati.
Non sarà sufficiente manifestare il fine settimana, con il rischio che non ci sia più neppure il governo da sostenere (sulla decisione di Napolitano ho dei dubbi e non escludo niente).
Consiglio di serrare le fila che - sembrerà un pò fascista - ma è l'unica strategia che mi appare possibile per tentare di salvare il salvabile.
E di tenere lingua e nervi ben saldi.

giovedì 22 febbraio 2007

Pubblica ammenda

Debbo scusarmi, il mio post di ieri sera era troppo emotivo, ma in fin dei conti me lo posso permettere: è il mio blog, io non sono un senatore della Repubblica, ed il mio parere non è un voto decisivo per le sorti di un governo che non sarà il massimo ma neppure il peggiore tra quelli possibili.
Non mi appassiona la caccia al Turigliatto, in fin dei conti è solo un dilettante allo sbaraglio, ed io adoro i professionisti della politica.
Come Massimo D'Alema:
"E' sempre un errore lasciarsi trasportare dall'emozione nelle faccende politiche, quindi la prossima volta che Mr Genius dice "se andiamo sotto, tutti a casa" siete autorizzati a staccargli la spina".

mercoledì 21 febbraio 2007

Turigliatto e Rossi

Ci volevano proprio Turigliatto e Rossi, una scelta responsabile che avrà alcune positive conseguenze: il ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan, lo stop alla base militare di Vicenza, la chiusura dei Centri di Permanenza Temporanei, l'istituzione dei pacs, una riforma fiscale che redistribuirà risorse ai ceti meno abbienti, l'eliminazione del precariato ed il potenziamento della scuola pubblica.
Sono molto contento.
Ora esco, prima però mi ficco il cactus di casa dentro al culo, giusto per stare ancora meglio.

martedì 20 febbraio 2007

Tutto chiarito (sono perciò sollevato)

Sono sollevato, oggi, dopo che – ieri – si sono chiariti i rapporti con la Chiesa.
Dunque, se i rapporti sono chiari, da oggi:
a. La Chiesa pagherà l’Ici sui propri immobili, come fa il sottoscritto, che di immobili ne ha solo uno (gravato da un mutuo).
b. Gli insegnanti di religione saranno pagati dal Vescovo, che provvederà alla loro nomina e alla loro conseguente remunerazione.
c. Non vi saranno più ingerenze nella vita politica dello Stato Italiano, secondo il principio Libera Chiesa in Libero Stato (tutto maiuscolo per aumentare l’enfasi).

Da ultimo ma non per ultimo da oggi spero di avere la possibilità di seguire un telegiornale senza il quotidiano collegamento con il Vaticano ed il Pastore Tedesco (tutto maiuscolo) che lo governa.

Altrimenti cosa è stato chiarito?

sabato 17 febbraio 2007

Vicenza.


Dedicato a chi ha provato a intorbidare le acque
la limpidezza di uomini e donne.

Tanti.

I veri terroristi

Ricevo da un mio caro (il più caro) cattivo maestro.
E volentieri pubblico.

Proprio perché concordo, mi permetterei di aggiungere, brevemente: non si ha
più neanche il sospetto che il terrorismo vero non ha a che fare con lo
spirito critico, il dissenso e la capacità di esprimerlo, il rifiuto
dell'acquiescenza: tutti elementi che in questi ultimi anni, con periodiche
accelerazioni, sono stati tollerati poco e a volte aggrediti con estrema
violenza. Tra le doti del buon terrorista, come hanno insegnato i
ciclostilati interni delle Brigate rosse, c'è l'obbedienza, l'adeguarsi,
l'accettazione di una vita militarizzata e scandita da orologi e calendari
altrui, la repressione di ogni dissenso nei confronti dell'"organizzazione".
Tutti elementi che i brigatisti hanno avuto in comune con chi li condanna.
Per questo, però, è necessario approfondire una teoria (e un metodo) del
conflitto e della sua gestione nonviolenta.
Nelle pratiche quotidiane. Tutte.

giovedì 15 febbraio 2007

Non mi dirai che sei d'accordo

In questi giorni militare in Rifondazione Comunista significa che chiunque può rivolgerti gli interrogativi più offensivi senza vergognarsene.
Vengono arrestate 15 persone – che per quanto mi riguarda restano tutte innocenti fino al terzo grado di giudizio – e anche tu divieni in qualche modo sospetto e sospettabile, se non altro di tacita collusione.
“Non mi dirai che sei d’accordo?”, è domanda ricorrente, quasi che tentare di interrogarsi sul perché di un fenomeno sia una pratica terroristica quanto lo sparare a dei professori in bicicletta.
Se provi a ragionare in termini di “permeabilità delle istituzioni” al conflitto, e alla necessità – per la stessa tenuta democratica – di rappresentare gli interessi “di tutti” (compresi quelli dei lavoratori), vi è chi sbrigativamente conclude con un “Ma allora vuoi pure giustificarli?”.
Non se ne esce, se non confidando nella medicina della partecipazione (che è alla luce del sole) come più efficace antidoto al terrorismo (che prospera nella clandestinità).
Ma anche questo è un discorso troppo complicato e difficilmente comprensibile per chi vuole solo una condanna e si accontenta di buttare via le chiavi della cella dopo averci rinchiuso i soliti mostri.

martedì 13 febbraio 2007

L'impegno è una gran rottura di coglioni

Noto, con una certa preoccupazione ed altrettanta insofferenza, come un atteggiamento di progressivo disimpegno stia contagiando alcuni stimabili compagni.
Nessuno costringe alcuno alla militanza, ma se l'obiettivo è quello di "cambiare il mondo", ebbene c'è da rompersi i coglioni, e anche parecchio, nell'immediato quotidiano, altrimenti il mondo da sè non cambia (se non in peggio).
Non vi è niente di male, figurarsi, nel riflusso nel privato (in televisione vi sono ottimi serial, come Dr House, e poi c'è la champions league, ed il nostro contesto abbonda di localini alla moda dove bere una birra in compagnia), l'importante è essere conseguenti, ed evitare invece di rompere i coglioni al sottoscritto con battute fuori luogo e stucchevoli moralismi.
Mi hanno stancato veramente sia le prime che i secondi.

domenica 11 febbraio 2007

Un pesantissimo intervento anti-religioni

E’ buona norma confessare un pregiudizio prima di iniziare l’analisi: credo che – con buona probabilità – dio non esista e che le religioni siano un affascinante artificio edificato dagli uomini per rendere più tollerabile la morte, di sé e delle persone amate, e la terribile prospettiva del nulla, così terribile che è persino impensabile la sua rappresentazione.
Ecco quindi venire in soccorso la fantasia, la capacità creativa dell’uomo che è in effetti qualcosa di divino senza dio.
Vi confesso tuttavia che spero di sbagliarmi, dato che la prospettiva di vivere in eterno, sia in paradiso che all’inferno (non al purgatorio che è troppo di centro), mi appare tutto sommato stimolante.
Partirei da una ricognizione dell’esistente, ovvero di ciò che sono oggi le religioni presenti in Occidente, quelle maggioritarie, quelle di cui ci “interessa” il dialogo: cattolicesimo ed islam.
I buddisti infatti, che pure mi stanno simpatici perché non rivendicano alcuna egemonia (e Pomaia è un luogo incantevole dove si possono gustare ottimi pranzi vegetariani), ed i Valdesi a cui per spocchia (e vicinanza) intellettuale destino il mio otto per mille, sono poco più che associazioni del dopolavoro ferroviario, mentre gli ebrei – già storicamente poco presenti in Italia – sono stati decimati dal nazifascismo e sono oggi poche migliaia di persone, buone per essere tirate da una parte o dall’altra a seconda di come la si pensi sullo Stato di Israele.
Sia il cattolicesimo che l’islam perseguono, ritengo consapevolmente (a livello di elites), un progetto di dominazione - dei corpi, delle idee, delle società - a cui ritengo necessario opporre la forza e la resistenza del pensiero laico e progressista.
Il dialogo tra cattolicesimo ed islam è, in questa particolare fase storica, il dialogo tra due totalitarismi, e si vi è salvezza per gli uomini e per le donne di questo mondo sta oggi nel rifiutarli entrambi, sostituendo nella pratica al dialogo interreligioso il dialogo tra persone libere (come può essere una persona libera oggi, ovvero all’interno di un quadro economico ed ideologico che la condiziona pesantemente).
Intendiamoci, non sto accusando i credenti di queste confessioni di essere nella loro totalità dei pericolosi reazionari: esistono molte persone sinceramente progressiste e nello stesso tempo profondamente religiose, con cui è piacevole intrattenersi e coltivare la speranza di una riforma.
Ma una rondine non fa primavera e di certo i messaggi provenienti dalle gerarchie cattoliche ed islamiche possono essere ricompresi nella categoria dei sistemi di pensiero reazionari (oggettivamente alleati dei movimenti politici schierati a destra).
Le comunità di base cattoliche, e gli islamici progressisti – che pure ci sono – sono del tutto minoritari e qualche “prete di frontiera” (alla Zappolini o alla Santoro per prendere due esempi a noi vicini) non valgono la brutale repressione e la conseguente sconfitta del movimento della teologia della liberazione.

Riporto, come pretesto ai fini del nostro discorso, uno dei passaggi più significativi dell’intervento di papa Ratzinger in occasione della “Giornata mondiale della pace”, celebratasi il 1 gennaio 2007:

“Il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell’uomo. La pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è: saranno così evitate intromissioni inaccettabili in quel patrimonio di valori che è proprio dell’uomo in quanto tale.
Per quanto concerne il diritto alla vita, è doveroso denunciare lo scempio che di essa si fa nella nostra società: accanto alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza, ci sono le morti silenziose provocate dalla fame, dall’aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall’eutanasia”.

E’ chiara – e inaccettabile - l’analogia esplicita che si stabilisce tra una donna che decide di non far nascere il proprio figlio (o Piergiorgio Welby che implora di poter morire) ed un terrorista tagliagole (tutti condannati, implicitamente, alla dannazione), ed è difficile non notare l’intima contraddizione con il passaggio successivo in cui il “pastore tedesco” si sofferma sulla condizione femminile, riservando un attacco neppure troppo nascosto all’islam:

“Penso allo sfruttamento di donne trattate come oggetti e alle tante forme di mancanza di rispetto per la loro dignità; penso anche - in un contesto diverso – alle visioni antropologiche persistenti in alcune culture, che riservano alla donna una collocazione ancora fortemente sottomessa all’arbitrio dell’uomo, con conseguenze lesive per la sua dignità di persona e per l’esercizio delle stesse libertà fondamentali”.

Il controllo sul corpo della donna, la colpevolizzazione e la condanna della libertà individuale di per sè, rendono al contrario sinistramente simili il cattolicesimo e l’islam odierni.
Nell’islam è tutto apparentemente più evidente: il corpo velato della donna cosa altro è se non il segno più visibile della dominazione maschile e dell’imposizione di una religione patriarcale?
Su questo tema esiste un dibattito piuttosto ricco, di cui è impossibile dare conto nel poco spazio di questo intervento.
Vi è chi sostiene che sia del tutto legittimo che una donna decida di coprirsi parti del proprio corpo e che l’attenzione ossessiva nei confronti del problema del velo celi intenti discriminatori nei confronti degli immigrati oggi presenti nei paesi europei.
La vista di una suora – in effetti - non sembra turbarci più di tanto, (eppure ha il corpo ed una parte del volto nascosti) e non suscita appassionati dibattiti, e di certo vi è un’evidente disparità di trattamento nei confronti delle donne che liberamente abbracciano i precetti della religione islamica.
Sono argomentazioni difficilmente contestabili e per molti versi condivisibili.
Tuttavia quando l’imam locale (e quindi non un semplice fedele ma il “colto” rappresentante locale della comunità islamica) in conversazione privata mi rivela che sua moglie indossa “liberamente” il burqa per proteggersi dagli sguardi degli altri uomini, e dalla possibilità di una violenza suscitata dallo scatenamento dei “naturali” istinti maschili alla vista di un ginocchio scoperto, confesso il mio turbamento, e mi chiedo quanto libera sia quella libera scelta, e se al contrario la libertà dalla religione (in questo caso islamica) non sia la condizione primaria per una liberazione che sia veramente tale.
Che dire poi dell’atteggiamento nei confronti degli omosessuali?
In alcuni paesi islamici se sorpresi in “pratiche” omosessuali si può essere condannati a morte.
La chiesa cattolica si “limita” a definire contro natura i rapporti tra persone dello stesso sesso, invitando i poveri gay a vivere privatamente e con riserbo la loro malattia, astenendosi da pratiche sessuali e sopportando cristianamente la sventura loro occorsa, (in questi giorni il Vaticano si è schierato addirittura contro il serial televisivo “Un medico in famiglia” a causa della presenza di una “normalissima” coppia gay).
Sorprenderebbe quindi, date le molteplici similitudini, un’eventuale mancanza di dialogo tra le due principali religioni monoteiste concorrenti.
Sono convinto invece che quello che si sta svolgendo sotto i nostri occhi sia uno stucchevole gioco delle parti e che attraverso il dialogo interreligioso (che come tutti i dialoghi è composto da momenti di scontro, di confronto e di accordo) si giungerà infine ad un’equa e concordata ripartizione delle anime (e degli interessi) secondo le zone geografiche, come ai tempi della guerra fredda e della contrapposizione tra le due potenze nucleari, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
E’ un gioco che non mi piace e a cui non intendo partecipare.
Il dialogo interreligioso, parliamoci chiaro, è diventato molto di moda qui da noi anche in seguito alla presenza in Italia di numerosi immigrati musulmani.
In passato illustri prelati quali il cardinale Biffi hanno teorizzato la via preferenziale per gli immigrati di religione cattolica discettando sulla presunta non integrabilità dei cittadini di religione musulmana.
Il fatto è che molti immigrati “scoprono” la “loro” religione, la religione degli antenati, proprio una volta giunti in Italia.
Partono indifferenti alla questione religiosa e si trasformano in uomini di fede una volta giunti a destinazione (paradossalmente, si potrebbe affermare, “divengono” refrettari all’integrazione).
La chiusura all’interno della comunità nazionale di riferimento cementata da un comune credo religioso è l’esito più probabile dell’impatto difficoltoso con la società di approdo, impatto oggi “mediato” dalla crisi del welfare nazionale, dalle contraddizioni del modo di produzione dominante (precarietà, disoccupazione, sottoccupazione) dalla forza di ideologie xenofobe propagandate dai vari imprenditori dell’odio (partiti politici e mezzi di comunicazione di massa).
La religione è un patrimonio identitario sempre disponibile, pronto ad essere utilizzato e re-inventato, e funzionale in questo caso ad un modello di integrazione subalterna.
Accettando la logica dell’integrazione (e del dialogo) tra culture, comunità e - in definitiva - tra diverse religioni a rimetterci sono gli individui costretti in un’identità monolitica attraverso cui rivendicare i propri diritti ed il proprio inserimento.
Si rinuncia alla pluralità della propria identità, alla molteplicità delle proprie appartenenze, per abbracciare un unicum totalitario e monolitico, soprattutto se questo è l’unico modo disponibile per rivendicare i propri diritti.
Ma è un percorso in cui si perde qualcosa.
A rimetterci sono i singoli individui, abbracciati sino a soffocare da vescovi ed imam.
A rimetterci sono le nostre società, che si segmentano progressivamente in varie religioni-culture-comunità scarsamente democratiche al loro interno, disposte gerarchicamente, il cui inter-dialogo è condotto da ristrette elites autonominatesi tali, depositarie della verità, che agiscono in nome e per conto dei loro fedeli.
Le osservazioni a tal proposito di Amartya Sen risultano, in conclusione, decisive (A.Sen, “Identità e violenza”, Laterza, 2006):

“Il mondo (..) è visto (..) come una federazione di religioni o di civiltà, ignorando così tutti gli altri modi in cui gli esseri umani considerano se stessi (..).
La stessa persona può essere, senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista jazz (..).
Ognuna di queste collettività, a cui questa persona appartiene simultaneamente, le conferisce una determinata identità. Nessuna di esse può essere considerata l’unica identità o l’unica categoria di appartenenza della persona(..).
Quando le prospettive di buoni rapporti tra esseri umani diversi sono viste (come sempre più spesso accade) principalmente in termini di “amicizia tra civiltà” o di “dialogo tra gruppi religiosi”, o di “relazioni amichevoli tra comunità diverse” (ignorando i moltissimi, diversi modi in cui gli individui si relazionano fra di loro), i progetti per la pace vengono subordinati a un approccio che “miniaturizza” gli esseri umani(..).
La speranza di armonia nel mondo contemporaneo risiede in gran parte in una comprensione più chiara delle pluralità dell’identità umana, e nel riconoscimento che tali pluralità sono trasversali e rappresentano un antidoto a una separazione netta lungo una linea divisoria fortificata ed impenetrabile”.

giovedì 8 febbraio 2007

Carlo Giuliani: l'esecuzione


Segnalo anche la ricostruzione dell'esecuzione di Carlo, visibile su internet, cliccate Carlo Giuliani su google.

Giuliani, Raciti ed il Giornale

Ai miei amici che tanto si sono scandalizzati (più per una frase detta in un dopo cena che per il contenuto del mio post, suppongo): leggetevi questo bell'articolo pubblicato su Il Giornale il 5 febbraio 2007.
E fatevi un'idea del motivo per cui uno diventa larrabbiato.

La mamma di Carlo Giuliani ora pensi a mamma Raciti

di Ruggero Guarini - lunedì 05 febbraio 2007, 07:00

Gentile senatrice Haidi Giuliani, mi consenta di sottoporle una proposta un po’ audace: inviti la regista Francesca Comencini, sua grande amica, a prendere un tè nel suo ufficio a palazzo Madama e le suggerisca, con tutto il tatto richiesto dal delicato argomento che mi permetto di prospettarle, di dedicare alla mamma di Filippo Raciti, l’agente ammazzato venerdì allo stadio Massimino di Catania, un film simile a quello con cui la medesima vivace cineasta, ormai circa sei anni fa, volle onorare il suo dolore di madre orbata del proprio eroico figliolo caduto a piazza Alimonda sul fronte della resistenza alla sbirraglia dello Stato dei padroni.

Il titolo di questo nuovo film potrebbe ricalcare fedelmente quello del film precedente. Se quello si chiamava Carlo Giuliani, ragazzo, questo potrebbe chiamarsi Il ragazzo Filippo Raciti. E come al centro di quello figurava la sua intervista, così al centro di questo dovrebbe figurare un’intervista alla mamma dell’agente siciliano. Ma forse, per imprimere anche al nuovo film lo stesso stile sentimentale e morale di quello precedente, sarebbe forse meglio che la Comencini intervistasse nuovamente lei. Giacché soltanto lei potrebbe onorare la memoria del povero Raciti con la stessa impareggiabile dolcezza con cui, in quella sua memorabile performance audiovisiva, seppe dar voce alla sua potente passione di madre politicamente turbata e commossa mediante un’impeccabile ricostruzione del pacifico percorso del suo Carlo all’interno del corteo con cui quel giorno, a Genova, lui e i suoi compagnucci del movimento antiglobale espressero la loro mansueta volontà di lotta anti-imperiale fino al momento in cui quell’angioletto venne proditoriamente assassinato dal carabiniere Placanica mentre lui tentava eroicamente di accopparlo con un estintore.

Fra l’altro molte battute di quella vecchia intervista potrebbero essere facilmente adattate al nuovo film. La più commovente di tutte potrebbe anzi restare pressoché immutata. «Si è detto – lei disse – che Carlo fosse un disadattato. Non lo era, ma anche fosse? È un motivo sufficiente per ammazzare la gente?». Dovrebbe soltanto tradurla così: «Si è detto che Filippo fosse uno sbirro. Magari lo era, ma allora? Be’, sembra che questo, per il mio Carlo, fosse un motivo sufficiente per tentare di ammazzarlo».

La frase di lancio del film su Raciti potrebb’essere infine la stessa che Erri De Luca scrisse per quello su Giuliani: «Una madre racconta la giornata breve di suo figlio, dall’uscita di casa in un mezzogiorno di luglio fino al proiettile del pomeriggio sparato in testa. Un’altra madre ascolta e registra voce, faccia, racconto. In mezzo a loro due scorrono le folle che invasero Genova per essere pietra d’inciampo alla riunione dei signori del mondo, per essere pietra d’angolo di una nuova casa-mondo». Basta sostituire Catania a Genova e tutto funzionerebbe lo stesso. Coraggio, signora, si metta al lavoro.

guarini.r@virgilio.it

mercoledì 7 febbraio 2007

Il poliziotto si chiamava Filippo

Ho ricevuto un commento da un amico, pressochè un fratello.
Lo pubblico, come è giusto che sia.
Nei prossimi giorni larrabbiato spiegherà che coltivare i risentimenti è anche un modo per conservare la memoria.
Nei prossimi giorni, perchè anche stanotte debbo lavorare.


Sinceramente avrei anche da pensare ad altro, il che non mi entusiasma però si chiama lavoro, eppure mi viene voglia di rispondere al tuo post “Carlo Federico e il poliziotto”.
Siano benedetti internet, i blog e la posta elettronica che riescono a farci magicamente interagire come due mondi lontani attraverso un codice morse, mentre ormai sono sempre più rarefatti i momenti in cui si riesce a stare insieme e parlare, ascoltare la ragione e l’emozione uscire dalle parole dell’altro.
Mi spiace “arrabbiato” ma su questa strada non riesco a seguirti. Ho riflettuto molto su quello che è successo venerdì a Catania, su quello che è stato detto, su quello che ci siamo detti. Non posso sentirmi vicino ad un modo di pensare così ottuso, che ancora una volta riduce un episodio così grave, che va ben al di là del coinvolgimento di un agente di polizia, al solito teatrino massimalista del confronto tra vite spezzate da una parte e dall’altra, che in realtà stanno dalla stessa parte, quella di un ingiustizia che non si riesce ad evitare e cui non si riesce a dare risposta.
Non posso pensare che quanto è successo ti abbia unicamente dato lo spunto per esternare la rivendicazione di altri fatti che a ragione pretendono giustizia, ma che non possono certo pretendere di averla attraverso il contrapporsi a eventi diversi, purtroppo analoghi nell’esito triste e drammatico.
Non capisco poi perché se muore un civile devi dire che è morto Carlo, Federico o Francesco, come fosse uno di famiglia, se invece muore un agente lo liquidi come “il poliziotto”. La perdita di una vita umana non può essere strumentalizzata così. E utilizzare un tono simile non fa altro che contribuire ad alimentare rancore verso un settore che, volenti o nolenti, è necessario alla vita civile della nostra società.
Ti rammento che se Rifondazione è dalla parte soprattutto dei lavoratori e delle classi più svantaggiate dovrebbe essere anche, in buona misura, dalla parte dei membri delle forze dell’ordine, che provengono spesso da famiglie con pochi mezzi in particolare del sud, che fanno un lavoro rischioso, mal pagato, sempre più vituperato. Credimi, non amo le divise o le armi, vorrei davvero poter vivere in una società in cui non ci fosse bisogno né di polizia, né di carabinieri né di esercito, ma evidentemente questa nostra società non è ancora abbastanza matura, civile, giusta affinché ciò possa realizzarsi.
Il tuo pensiero sembra rispecchiare una mentalità che è incline al muro contro muro, alla retorica giustificazione della risposta violenta come reazione sociale verso lo Stato come potere o i suoi rappresentanti (tra i quali ti ricordo ci sei anche tu). Di morte e violenza ne ho davvero abbastanza. C’è violenza nelle parole sprecate a fiumi in televisione, c’è violenza nella società che mette gli uni contro gli altri, c’è violenza nei rapporti personali e lavorativi, c’è violenza nel traffico che sta distorcendo le nostre vite ed i nostri nervi.
Si dice che ci vorrebbe una cultura civile diversa per poterci salvare da tutto questo. La cultura civile che scaturisce dal tuo pensiero e dalle tue parole mi rendo conto che non mi appartiene.

con affetto

lunedì 5 febbraio 2007

Larrabbiato ringrazia

Con grande affetto tutti i compagni e le compagne che in questi giorni gli hanno manifestato la propria solidarietà e sostegno.
Le battaglie di uno sono le battaglie di tutti: grazie a Marcello, Annalisa, Alessio, Vale, Giulia, Alessandro, Gino e soprattutto ai meravigliosi Pilade ed Elena.
No pasaran!

Carlo Federico ed il poliziotto

In questo clima di emergenza iniziale, dopo che un povero poliziotto è stato ucciso durante gli scontri seguiti alla partita di calcio Palermo - Catania, dopo che ancora una volta tutti implorano pene più severe, ricordo che:
a) la versione ufficiale della morte di Carlo Giuliani al G8 di Genova è che una pallottola sparata per aria da un poliziotto ha urtato un sasso lanciato da un manifestante, ha deviato ed ha fracassato la tempia di Carlo.
E nessun tg nazionale sembra scandalizzarsene.
b) Federico Aldrovandi è stato massacrato da quattro poliziotti e, non fosse stato per il coraggio e la tenacia di sua madre, la polizia locale avrebbe insabbiato tutto.

giovedì 1 febbraio 2007

E' evidente che si tratta di un rapporto ormai concluso

Ieri sera un buon quarto d’ora del Tg1 è stato dedicato alla vicenda Veronica Lario Silvio Berlusconi, e sono contento perché ho appena pagato il canone Rai.
La signora si è offesa per le “galanterie” espresse dal consorte nei confronti di una moltitudine di signore compiacenti, nell’immediato dopo telegatti.
Ha deciso di lamentarsi con il direttore de La Repubblica, che ha pubblicato una lettera presumibilmente scritta dalla signora Lario, a cui è seguita prontamente una replica presumibilmente scritta dal signor Berlusconi, che si scusava per l’offesa arrecata.
Il teatrino sarebbe già di per sé assai disgustoso e disperante, anche senza il Sindaco di Venezia Massimo Cacciari, che si è sentito in dovere di intervenire sulla tragica vicenda.
Il parere espresso da cotanto personaggio presenta interessanti analogie con la questione Partito Democratico si Partito Democratico no.
“E’ evidente che si tratta di un rapporto ormai concluso”.

Il giorno della memoria

Lo sterminio non fu follia, o un semplice incidente di percorso nella storia illuminata della civiltà occidentale.
Il genocidio non fu semplicemente un problema ebraico, o un evento specifico della storia ebraica.
Il genocidio fu pensato e messo in atto nell’ambito della nostra società razionale moderna, nello stadio avanzato della nostra civiltà e al culmine dello sviluppo culturale umano: ecco perché è un problema di tale società, della nostra civiltà e della nostra cultura.
Occorre rovesciare l’interpretazione del genocidio, e considerarlo non una ferita o una malattia della nostra civiltà, ma il suo prodotto più coerente.
Interpretarlo – al contrario - come pura razionalità, ovvero l’applicazione efficace dei mezzi rispetto ad un fine: il massacro di ebrei, rom, omosessuali.
Esistevano i ragionieri dello sterminio, coloro che tenevano i registri, che ordinavano lo zyklon b, che gestivano i trasporti: lo sterminio era una vera e propria industria, con l’imperativo – tutto moderno – dell’efficacia e dell’efficienza.
Il genocidio fu Hitler, ma fu soprattutto Eichman: ce lo ha insegnato Hannah Arendt, in tutti i suoi scritti, ne “La banalità del male”.
Lo sterminio fu un evento, paradossalmente, normale, il prodotto specifico dell’incontro tra le vecchie tensioni che la modernità aveva ignorato e mancato di risolvere, e i potenti strumenti di azione razionale ed efficiente creati dallo sviluppo della modernità stessa.
Ho la convinzione che l’esperienza dello sterminio contenga alcune informazioni di fondamentale importanza sulla società di cui siamo membri.

In qualunque epoca, chi lotta per affermare i diritti delle minoranze lotta per evitare che lo sterminio si ripeta, considerando lo sterminio una eventualità sempre possibile da evitare con la lotta per il progressivo ampliamento dei diritti di tutti i cittadini.
Chi, ancora oggi, si danna per perseguitare le minoranze, ebrei, immigrati, rom, omosessuali eccetera, chi li vorrebbe senza diritti, pura vita, si muove lungo il filo continuo elettrificato dalla logica dello sterminio.

Talmente immenso è stato lo sterminio degli ebrei che per molto tempo degli altri si è persa la memoria: e non è un caso che siano proprio i vari Centri di Documentazione ebraica a ricordare che se lo sterminio fu prevalentemente contro gli ebrei, altre furono le categorie perseguitate: gli oppositori politici, comunisti in primo luogo, gli omosessuali, i rom.

Furono 500000 i rom, i “figli del vento” sterminati nei lager, allo scopo dichiarato di sradicare l’istinto nomade, identificato dall’eugenetica paranoide fascista con il disordine, la trasgressione, la commistione del sangue e la degradazione del costume.
In un suo recente intervento Marcello Pezzetti, del Centro di documentazione ebraica Contemporanea di Milano, ci racconta di un episodio avvenuto nel campo di sterminio di Birkenau.
Venne deciso di liquidare il settore zingari nel maggio 1944. I circa 4000 rom sopravvissuti avrebbero dovuto essere avviati, in un solo colpo, alle camere a gas. E fu allora che avvenne l’incredibile: gli zingari resistettero. A mani nude, qualcuno armato del solo coltellino di latta improvvisato nelle baracche, contrastarono le SS. I pochi sopravvissuti raccontano che erano le madri in prima fila, a difendere con le unghie e con i denti i loro bambini. Fu – dice Pezzetti – qualcosa di straordinario. Qualcosa di cui si dovrebbe sempre parlare, una delle pochissime rivolte in un campo di sterminio.
L’annientamento, purtroppo, fu solo temporaneamente sospeso: due mesi e mezzo più tardi 2847 rom verranno passati per il camino nel crematorio n.5.
A fronte di questo, nonostante lo sterminio di 500.000 rom, nessuno di loro venne mai chiamato a testimoniare nei processi ai gerarchi nazisti, neppure a Norimberga. E quando in Germania alcun sopravvissuti si decisero a chiedere un risarcimento, questo fu loro negato con il pretesto che le persecuzioni subite non erano motivate da ragioni razziali ma dalla loro “asocialità”.
Noi siamo qui anche per colmare queste ingiustizie, e non solo per celebrare il giorno, il 27 gennaio 1945 in cui le truppe dell’Armata Rossa arrivarono ai cancelli di Auschwitz:
Le stesse truppe che, resistendo a Stalingrado, furono determinanti nella sconfitta del nazifascismo: fu la vittoria dell’umanità contro la barbarie.

martedì 30 gennaio 2007

Napoli per noi

Il nostro elettorato su alcuni temi è piuttosto sensibile

Nel piccolo paesello, ieri sera, consiglio comunale aperto in occasione delle iniziative previste per il giorno della memoria.
Il dibattito è stato molto bello e – a tratti – commovente.
Intendo per commovente un aspetto del quotidiano che suscita coinvolgimento emotivo, empatia, immedesimazione.
Così è stato, almeno per me (ma molti hanno condiviso questo sentimento, non bisogna sottovalutare l’umanità, a volte affiora).
Una signora ebrea, figlia di deportati, non è riuscita a terminare il suo intervento-testimonianza: ricordare le vicissitudini del padre e della madre le è risultato evidentemente troppo doloroso.
“Credetemi – ha detto – alcune volte ce la faccio. Stavolta non ha funzionato neppure l’escamotage al quale di solito ricorro”.
Nel bel mezzo del suo intervento – infatti – già colta dalle prime avvisaglie dell’insostenibile, la signora si era interrotta, aveva estratto dalla sua borsetta un foglio di carta ed aveva iniziato a leggerne il contenuto: era la bolletta dell’enel.
Queste emozioni non sono state condivise da cinque consiglieri, quattro di destra (tre fascisti di alleanza nazionale e uno di alternativa sociale) ed uno di centrosinistra.
I primi quattro sono giustificati di per sé (sono fascisti) l’altro (o l’altra) “aveva una visita”.
Ai presenti è rimasto tuttavia il dubbio che il democratico personaggio non condividesse sino in fondo la scelta dei relatori.
Passi per un’ebrea figlia di ebrei. Ma che ci facevano un omosessuale ed uno zingaro?
Si era forse considerata fino in fondo “l’opportunità” di tale iniziativa?
“Il nostro elettorato, su alcuni temi, è piuttosto sensibile”.

sabato 27 gennaio 2007

D'Alema Condolcezza

Capisco che fare il ministro degli esteri sia attività estremamente complessa, e che mediazioni e compromessi siano inevitabili.
La diplomazia, per essere tale, rifugge dagli integralismi.
Tuttavia, le parole del nostro ministro degli esteri Massimo d’Alema “il ritiro dall’Afghanistan è semplicemente impensabile” mi appaiono davvero poco politiche, e questo è molto strano per un uomo che si vanta di essere un fine stratega.
Che cosa è la politica, infatti, se non la pratica (anche) dell’impensabile per raggiungere ciò che è possibile?
Fino a qualche mese fa pure il ritiro dall’Iraq sarebbe apparso impensabile. A quei tempi il presidente del Consiglio era Berlusconi, ma “Condolcezza Rice” era già quella che è oggi, anche se D’Alema non andava ai suoi briefing.
Eppure dall’Iraq abbiamo tolto le tende, e nessuno – mi pare – sente la nostra mancanza.
Ho dei pregiudizi – lo confesso – su Massimo D’Alema, anzi, ad essere più precisi, ho un preciso giudizio su questo personaggio che anima le vicende della sinistra(?) italiana sin da quando reputò al contrario non soltanto pensabile ma anche praticabile bombardare i civili serbi.
Non lo espliciterò qui questo giudizio, perché sono un uomo elegante che non ama ricorrere al turpiloquio.
Dirò semplicemente che non mi sta affatto simpatico e che anche quando per sbaglio ci azzecca – come forse sul Libano – non riesco ad apprezzarlo fino in fondo.
E’ come se recitasse una parte che non lo convince, e suona stonato.
Sembra molto più Massimo d’Alema quando mostra i muscoli, va a cena con la Rice, si compiace dei suoi ringraziamenti e discetta su ciò che è pensabile e ciò che non lo è.
Che in Afghanistan vi sia una guerra voluta dalla Junta golpista- fascista che continua a governare negli Stati Uniti sembra non disturbarlo più di tanto.

domenica 21 gennaio 2007

Vicenza, Opera, i Rom e la Nato

Leggo, nell’unico quotidiano che valga la pena acquistare sacrificando uno dei cinque caffè della giornata (il Manifesto) un appropriato articolo di Manuela Cartosio.
Lo cito nei suoi punti più significativi:

“Opera-Vicenza. Da una parte residenti scatenati, sul filo del pogrom, contro i rom. Dall’altra una lotta corale e pacifica contro il raddoppio della base Nato. La contemporaneità delle due vicende induce qualche sgradevole considerazione. Pur nell’abissale diversità, hanno un elemento in comune: il territorio. La difesa del proprio spazio, del luogo in cui si vive, non è di per sé cosa buona e giusta”.

E ancora più avanti:

“..settanta “zingari” parcheggiati temporaneamente a Vicenza, o in un paese della Val di Susa, sarebbero accolti meglio che a Opera?”.

La domanda è in tutta evidenza retorica, e la risposta suggerita è “no”: gli zingari starebbero sulle scatole sia ai cittadini di Vicenza che a quelli di Venaus. Il pregiudizio antirom è purtoppo assai radicato, direi pressoché universale, i motivi cercheremo di approfondirli in altri post.
Ha ragione la signora Cartosio, la difesa del proprio territorio non sempre è cosa buona e giusta, verrebbe da dire che la luce di ogni battaglia risplende a seconda del motivo per cui è condotta.
“Noi” le facciamo per costruire una società più giusta, civile e solidale, “loro” l’inverso.
Il problema è quando i noi ed i loro si mescolano, in un caleidoscopio di opposti e contrari che sollecita ulteriori riflessioni: la realtà è infinitamente più complessa rispetto ad ogni sua interpretazione.
Questo non significa che non sia possibile un ragionamento scientifico intorno alle società ed alle dinamiche che le attraversano, ma ogni riflessione deve assumere come costitutiva la certezza della propria insufficienza: la realtà trabocca, inevitabilmente, e scivola via – malefico serpente - quando pensi di averla costretta – per sempre – entro le gabbie del tuo sistema.
Sia ad Opera che a Vicenza le cronache ci raccontano (schematizzo) di comitati anti-rom e anti-Nato politicamente piuttosto eterogenei.
Occupiamoci del primo corno del problema.
Sono del parere che qualsiasi sia la cittadina in cui si realizzasse un referendum intorno al quesito fondamentale: “vuoi tu un campo rom?” vedrebbe la maggioranza dei cittadini votare per il no (e spero di essere smentito).
E allora, come la mettiamo con la questione della partecipazione, il ragionamento – giustissimo peraltro – che nessuna decisione può essere presa senza la preventiva condivisione del progetto con le comunità di riferimento e la sua successiva accettazione?
Di fronte ad una vittoria dei no, dove li metteremmo questi rom?
Primo: nessun progetto che riguardi i rom viene preventivamente discusso con la popolazione locale, perché si ha paura che il progetto morirebbe sul nascere.
Non me la sento di affermare che questo timore sia privo di una sua consistenza, tuttavia o la questione della partecipazione la si affronta dall’inizio alla fine oppure l’intero ragionamento è monco.
Secondo: il quesito nasconde una realtà, i rom appunto – che sarebbero l’oggetto del referendum – non voterebbero (al pari dei militari americani, peraltro, con la sostanziale differenza che questi ultimi godono almeno in patria di alcuni diritti, tra cui quelli politici, i primi sono in una condizione di assoluta extraterritorialità, nel senso che sono “fuori” da ogni territorio e perciò privi di ogni diritto).
Terzo: il problema è mal posto.
Si vuol parlare di integrazione dei rom?
Prima dei referendum locali occorrerebbe un passaggio a livello nazionale: il riconoscimento dei rom come minoranza e la conseguente attribuzione agli stessi di un livello minimo di diritti, spendibili perché riconosciuti per legge.
Stabilito il principio che i rom hanno il diritto a stare qui – senza il quale non si va da alcuna parte - la risposta praticabile non è certo quella dei campi, situati di solito nei pressi delle discariche, quasi a stabilire un’offensiva analogia tra uomini, donne, vecchi e bambini da una parte e rifiuti dall’altra.
Molti Rom provengono dalla Romania, ove abitavano in normali condomini, ne sono stati scacciati quando il crollo del comunismo ha dato la stura a pregiudizi che covavano da tempo: l’immagine del coperchio che salta sopra una pentola che bolle penso sia quella più adatta.
E’ necessario trovare le case ove alloggiarli: leggo che le famiglie rom non accettano di essere “disperse” nel territorio. La soluzione più appropriata consisterebbe allora nel costruire villaggi rispettosi delle loro tradizioni, come mi sembra sia avvenuto in Portogallo ad opera del genio dell’architetto Alvaro Siza e della illuminata amministrazione della città di Evora.
Questa soluzione si trascinerebbe inevitabilmente dietro molte polemiche e l’ostilità della popolazione locale: “perché costruire le case per gli zingari quando siamo “noi” a non averle?”.
Quindi, o attraverso un ragionamento comune con i rom li si convince che debbono abitare non solo in condomini diversi ma anche in città diverse, e rimane comunque il problema di trovare alloggi liberi, oppure si trovano le risorse necessarie per attenuare il risentimento degli autoctoni, ovvero, in estrema sintesi, alloggi per tutti coloro che ne hanno bisogno, romanes o italiani che siano.
Qui torniamo, ancora una volta, alla questione delle risorse: come e da chi vengono prodotte, come e da chi vengono reperite, come e da chi vengono impiegate.
E allora Marx diviene inevitabile.

domenica 14 gennaio 2007

Colte citazioni per marcare la propria distinzione

"Le opinioni dell'umanità tendenzialmente hanno consacrato le realtà esistenti, dichiarando ciò che ancora non esiste o pericoloso o inattuabile"

John Stuart Mill

Rom a(ll) Opera

Non conosco nessun romanes, se per conoscenza si intende la partecipazione empatica alle altrui vicende che è possibile soltanto attraverso la continuità, nel tempo, del legame e per ciò forza la sua intensità.
La mia conoscenza è perciò indiretta, deriva dai libri che ho letto e dalla scelta di campo che ho fatto: mi rifiuto di essere cieco e non mi accontento delle storielle che alcuni meschini ci raccontano.
Con il lavoro che faccio ho avuto modo di parlare più volte con un uomo ed una donna di origine rom. Un’origine peraltro, nel loro caso, dissimulata. Rientra appieno nelle strategie di mascheramento che la nostra società rende necessarie. In alcuni casi per mantenere la propria rispettabilità, in altri – come nel caso dei soggetti in questione – per sopravvivere.
Ma questa conoscenza vive all’interno di un rapporto che non è paritario: sono io un’autorità – ed il termine è cosi supponente che sono perfino a restio ad usarlo – sono loro soggetti di questa autorità.
Amministratore io, amministrati loro.
Alla condizione “normale” di differenziazione di funzione, nel caso dei rom, come in quello degli stranieri in generale, si affianca – ed è predominante – la gerarchizzazione: in definitiva io ho l’impressione di poter contare qualcosa, che la mia voce possa essere ascoltata, loro hanno la certezza di non avere alcun potere.
Al massimo, possono sperare nella bontà di chi li circonda.
Ma “chi” li circonda è spesso una massa impaurita e perciò ostile: piccoli bianchi (occidentali) sballottati dai mutevoli flussi del mercato e del capitale. Nel regno dell’incertezza la certezza della propria differenza dai selvaggi, dagli spossessati e dai miseri è difesa con le unghie e con i denti: se questa si attenua si precipita nella disperazione.
Il razzismo è nelle classi popolari, e anche gli ultimi episodi di cronaca ci raccontano questa verità: a bruciare i campi rom, ad appiccare materialmente i fuochi, sono persone come noi, del popolo, privi di mezzi – se soli nella propria individualità – per incidere nella realtà.
Le regole di questa realtà sono stabilite in luoghi lontani, da persone che non hanno ricevuto alcun mandato popolare, e che perciò – in una società realmente democratica e non in questo inganno che stiamo vivendo – non avrebbero alcuna legittimità ad operare, a prendere decisioni se non per se stessi.
Quando una grande azienda licenzia migliaia di lavoratori la borsa premia la scelta, ed il titolo sale: questo semplice fatto mostra più di ogni altro complicato ragionamento che c’è del marcio in Danimarca.
Tuttavia non possiamo ignorare la realtà, il dato di fatto nella sua crudezza: a bruciare le tende dei rom ad Opera non sono stati certo dei ricchi imprenditori capi d’azienda, o dei colti scrittori schierati a destra, o dei brillanti giornalisti dei quotidiani nazionali, ma uomini e donne dei ceti popolari, qualunque sia la loro nuova composizione.
Ma il razzismo è dei potenti, che organizzano la ribellione in sommossa anziché in rivoluzione, in pogrom contro i più deboli anziché in rivolta contro i detentori degli ingiusti privilegi.
La organizzano fornendo le necessarie argomentazioni: la lotta decisiva non è quella contro la miseria, ma quella contro il misero, trasformato nella figura del parassita.
Il popolo è oggi trasformato in massa indistinta, folla, e l’humus è nel quotidiano: le trasmissioni televisive con donne seminude, i quiz scemi, ed i settimanali di gossip godono di grande fortuna, poiché esauriscono la quasi totalità dell’offerta.
Il popolo è indifeso ed ignorante perché – in definitiva – è solo, e la libertà, la vera libertà che è quella da ogni oppressione, può nascere soltanto dalla conoscenza e dalla consapevolezza, che possono crescere soltanto dentro ed attraverso uno sforzo collettivo.
I potenti non hanno certo alcun interesse a dotare le classi subalterne delle conoscenze necessarie ad interrogare il proprio destino e quello dei loro simili, non per cattiveria, ma semplicemente perché non è per loro conveniente: se vi è una speranza questa consiste ancora nell’auto-organizzazione delle classi popolari, nella forza del numero (che è una delle risorse se non la più decisiva per gli spossessati) e nella spregiudicatezza dell’autodidatta.
Un tempo, innanzi alla grande emigrazione dal sud d’Italia, le forze della sinistra che coincidevano con il partito comunista, guidavano la produzione del simbolico nell’ottica non solo di favorire la convivenza, ma il conflitto: non sono terroni, si diceva, ma lavoratori, come noi.
Se vi farete convincere che siete diversi, i veri diversi – quelli che detengono il potere e che vi sfruttano – avranno vinto.
Certo, non fu tutto rose e fiori, ma un pensiero forte a guidare l’azione c’era, e forse i tempi erano meno barbari di quelli odierni, anche se a guardarsi bene indietro sono pochi i tempi da rimpiangere.
Ora ad opporre un discorso alla canea razzista montante vi sono uomini e donne di buona volontà, stretti nei movimenti (che nel nostro caso sono le associazioni antirazziste) e quel che resta delle forme istituzionali della politica, naturalmente a sinistra.
Non mi piace dirlo: una risicata minoranza, spesso litigiosa per e su altre questioni, che spesso si disperde – o è del tutto assente – quando si organizzano assemblee popolari e comitati anti-rom.
Non fa piacere a nessuno constatare la propria minorità.
Nessuno è innocente, e quelle bocche spalancate ad invocare la cacciata dei rom raccontano anche della nostra inadeguatezza.

venerdì 5 gennaio 2007

welby

Il concetto di liberta varia a seconda dell’oggetto, è contingente come tutti gli affari umani.
Chi ragiona per assoluti o è in cattiva fede o è semplicemente uno sciocco.
Prendete per esempio il caso Welby, quell’uomo ridotto ad una larva che giace inerme su un letto, che implora di poter morire.
Potesse lo avrebbe già fatto, ma non può farlo, non ha più neppure un arto buono da utilizzare.
Non ha una mano per prendere una pistola e spararsi in testa e non ha più gambe per gettarsi da una finestra.
E poi perché dovrebbe scegliere modi così dolorosi e cruenti, quando la scienza (che non è il principio dell’apocalisse ma della speranza) ci avrebbe fornito strumenti più lievi, quando pure la morte può essere dolce?
Se non si è liberi di morire come si fa a dirsi liberi?
Eppure molti tra coloro che alzano la croce con la mano destra ed urlano contro il demone della laicità, e la mostruosità dell’eutanasia, molti dicono di amare la libertà.
Ed io sono portato a credergli.
Il delirio di un folle è sempre sincero visto dalla prospettiva del folle.
Libertà per il mercato, libertà per le merci, libertà per i profitti ad ogni costo (ed il costo umano è messo in conto e giustificato).
Sempre libertà sono.
Ho imparato a ragionare con sobrietà, a cercare collegamenti, a drizzare lo sguardo sopra la mia testa, ad interrogarmi senza posa fino a stancarmi.
Madre Teresa di Calcutta per molti era una santa.
Per me era solo una vecchia invasata che predicava la sofferenza come veicolo privilegiato per il Signore.
Preferisco Gino Strada, che le sofferenze cerca di lenirle sul serio, e non ha bisogno di nascondersi dietro alcun Dio per fare quello che fa: riparare corpi piagati dall’orrore della guerra.
Risuona nella vicenda del signor Welby un odore nauseabondo di sacrestia, e che ammorbi anche la politica - che dovrebbe essere una cosa seria e separata dai rosari - è un fatto increscioso, soprattutto nel 2006.
Badate bene, mentono quando dicono che l’eutanasia sarebbe un modo per legalizzare la morte data agli esseri giudicati superflui, ai vinti, ai malati, ai perdenti.
Sbaglierò, ma ho la sensazione che di questi non gliene importi un bel niente, tranne quando c’è da farsi pubblicità in tv per raggranellare qualche miliardo con l’otto per mille.
E’ una preoccupazione troppo laica quella per il destino degli ultimi.
E’ invece una questione di supremazia e di potere, che in definitiva è imporre la visione delle cose giudicata legittima.
Così, per essere liberi, dobbiamo farlo di nascosto: chi a fumarsi una canna, chi uomo ad amare un altro uomo, confidando tutti in un medico pietoso che (quando sarà il nostro turno) silente si rifiuti di dare al dolore altro indebito spazio.
Non sono privo di dubbi, e la sera alcune volte prima di addormentarmi mi piace pensare che pure qualcosa può esserci, perché no, di superiore e –la dirò grossa – di assoluto, di eterno e di divino.
Ma più mi guardo intorno e più scopro che questo qualcosa di divino ha molto a che fare con gli uomini e con le donne e poco con santa romana chiesa e devoti bigotti.