Capisco che fare il ministro degli esteri sia attività estremamente complessa, e che mediazioni e compromessi siano inevitabili.
La diplomazia, per essere tale, rifugge dagli integralismi.
Tuttavia, le parole del nostro ministro degli esteri Massimo d’Alema “il ritiro dall’Afghanistan è semplicemente impensabile” mi appaiono davvero poco politiche, e questo è molto strano per un uomo che si vanta di essere un fine stratega.
Che cosa è la politica, infatti, se non la pratica (anche) dell’impensabile per raggiungere ciò che è possibile?
Fino a qualche mese fa pure il ritiro dall’Iraq sarebbe apparso impensabile. A quei tempi il presidente del Consiglio era Berlusconi, ma “Condolcezza Rice” era già quella che è oggi, anche se D’Alema non andava ai suoi briefing.
Eppure dall’Iraq abbiamo tolto le tende, e nessuno – mi pare – sente la nostra mancanza.
Ho dei pregiudizi – lo confesso – su Massimo D’Alema, anzi, ad essere più precisi, ho un preciso giudizio su questo personaggio che anima le vicende della sinistra(?) italiana sin da quando reputò al contrario non soltanto pensabile ma anche praticabile bombardare i civili serbi.
Non lo espliciterò qui questo giudizio, perché sono un uomo elegante che non ama ricorrere al turpiloquio.
Dirò semplicemente che non mi sta affatto simpatico e che anche quando per sbaglio ci azzecca – come forse sul Libano – non riesco ad apprezzarlo fino in fondo.
E’ come se recitasse una parte che non lo convince, e suona stonato.
Sembra molto più Massimo d’Alema quando mostra i muscoli, va a cena con la Rice, si compiace dei suoi ringraziamenti e discetta su ciò che è pensabile e ciò che non lo è.
Che in Afghanistan vi sia una guerra voluta dalla Junta golpista- fascista che continua a governare negli Stati Uniti sembra non disturbarlo più di tanto.
sabato 27 gennaio 2007
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