venerdì 5 gennaio 2007

welby

Il concetto di liberta varia a seconda dell’oggetto, è contingente come tutti gli affari umani.
Chi ragiona per assoluti o è in cattiva fede o è semplicemente uno sciocco.
Prendete per esempio il caso Welby, quell’uomo ridotto ad una larva che giace inerme su un letto, che implora di poter morire.
Potesse lo avrebbe già fatto, ma non può farlo, non ha più neppure un arto buono da utilizzare.
Non ha una mano per prendere una pistola e spararsi in testa e non ha più gambe per gettarsi da una finestra.
E poi perché dovrebbe scegliere modi così dolorosi e cruenti, quando la scienza (che non è il principio dell’apocalisse ma della speranza) ci avrebbe fornito strumenti più lievi, quando pure la morte può essere dolce?
Se non si è liberi di morire come si fa a dirsi liberi?
Eppure molti tra coloro che alzano la croce con la mano destra ed urlano contro il demone della laicità, e la mostruosità dell’eutanasia, molti dicono di amare la libertà.
Ed io sono portato a credergli.
Il delirio di un folle è sempre sincero visto dalla prospettiva del folle.
Libertà per il mercato, libertà per le merci, libertà per i profitti ad ogni costo (ed il costo umano è messo in conto e giustificato).
Sempre libertà sono.
Ho imparato a ragionare con sobrietà, a cercare collegamenti, a drizzare lo sguardo sopra la mia testa, ad interrogarmi senza posa fino a stancarmi.
Madre Teresa di Calcutta per molti era una santa.
Per me era solo una vecchia invasata che predicava la sofferenza come veicolo privilegiato per il Signore.
Preferisco Gino Strada, che le sofferenze cerca di lenirle sul serio, e non ha bisogno di nascondersi dietro alcun Dio per fare quello che fa: riparare corpi piagati dall’orrore della guerra.
Risuona nella vicenda del signor Welby un odore nauseabondo di sacrestia, e che ammorbi anche la politica - che dovrebbe essere una cosa seria e separata dai rosari - è un fatto increscioso, soprattutto nel 2006.
Badate bene, mentono quando dicono che l’eutanasia sarebbe un modo per legalizzare la morte data agli esseri giudicati superflui, ai vinti, ai malati, ai perdenti.
Sbaglierò, ma ho la sensazione che di questi non gliene importi un bel niente, tranne quando c’è da farsi pubblicità in tv per raggranellare qualche miliardo con l’otto per mille.
E’ una preoccupazione troppo laica quella per il destino degli ultimi.
E’ invece una questione di supremazia e di potere, che in definitiva è imporre la visione delle cose giudicata legittima.
Così, per essere liberi, dobbiamo farlo di nascosto: chi a fumarsi una canna, chi uomo ad amare un altro uomo, confidando tutti in un medico pietoso che (quando sarà il nostro turno) silente si rifiuti di dare al dolore altro indebito spazio.
Non sono privo di dubbi, e la sera alcune volte prima di addormentarmi mi piace pensare che pure qualcosa può esserci, perché no, di superiore e –la dirò grossa – di assoluto, di eterno e di divino.
Ma più mi guardo intorno e più scopro che questo qualcosa di divino ha molto a che fare con gli uomini e con le donne e poco con santa romana chiesa e devoti bigotti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

rispondo sulla "QUESTIONE EUTANASIA" CON IL COMMENTO CHE TEMPO FA SCRISSI A QUALCHE AMICO SUL FILM "o MARE DENTRO":

Ieri ho visto il film “Mare dentro”, che parla di Eutanasia, in pratica della vita e della morte.



“la Vita non è obbligo, è un diritto”( Ramon Sampedro)



partendo da queste considerazioni il regista cerca di spiegare perché l’eutanasia dovrebbe essere considerata come una possibilità da chi sta male (o dovrei dire vive male).

Risultato: non so come la penso mentre vorrei avere idee chiare su argomenti del genere.

Infatti, da una parte trovo ingiusto considerare la Vita
- una sorta di principio ideale e indipendente (esistiamo nonostante noi, non l’abbiamo deciso)- come qualcosa di RELATIVO, di individuale e perciò gestibile da ognuno in modo differente e autonomo. Senza considerare la questione su cosa ti porti a decidere di Morire…Io penso l’odio verso la tua condizione di Vita. Ma se :



“L’odio, a considerarlo dal punto di vista emotivo è una forma di atrofia, che uccide ogni cosa a eccezione di se stesso” (Oscar Wilde)



Mi chiedo è giusto lasciare che l’odio prevalga sulla Vita, che l’odio ti uccida?



Dall’altra parte la vita può essere considerata come un bene che abbiamo e che di fatto è diverso per ognuno. Perciò trovarsi in una situazione ( il protagonista è tetraplegico) che ti costringe a “dover stare alla finestra”, che ti impedisce di agire, che ti obbliga a farti aiutare,beh! Che Vita è?

I paradossi della nostra esistenza:

- Non possiamo vivere soli

- Abbiamo bisogno di “fare” per non essere inghiottiti dai pensieri,

vengono, in questi casi, portati alle estreme conseguenze…

E così il protagonista vede nel futuro la morte, e non pensa ad altro – non è un eufemismo- NON PENSA AD ALTRO, mentre un’altra donna che per un po’ pensa all’eutanasia, poi, arriva alla conclusione di non uccidersi perché lei sì, RIESCE A PENSARE AD ALTRO RISPETTO ALLA MORTE.

Insomma non lo so, non ho una risposta chiara da dare, non ho una convinzione tale da ritenermi a favore o contro.

Altra bella frase del film:



«quando non puoi scappare e dipendi totalmente dagli altri impari a piangere ridendo»



E la poesia finale:





Mare dentro, in alto mare – dentro, senza peso

nel fondo, dove si avvera il sogno: due volontà

che fanno vero un desiderio nell’incontro.



Un bacio accende la vita con il fragore luminoso di una

saetta, il mio corpo cambiato non è

più il mio corpo, è come penetrare al centro

dell’universo:



L’abbraccio più infantile, e il più puro dei

baci fino a vederci trasformati in

un unico desiderio



Il tuo sguardo il mio sguardo, come un’eco

che va ripetendo, senza parole: più dentro,

più dentro, fino al di là del tutto, attraverso

il sangue e il midollo.



Però sempre mi sveglio, mentre sempre io voglio

essere morto, perché io con la mia bocca

resti sempre dentro la rete dei tuoi capelli.



(Ramón Sampedro)



P.S. = Comunque se lo trovate andate a vederlo.