Ricevo da un mio caro (il più caro) cattivo maestro.
E volentieri pubblico.
Proprio perché concordo, mi permetterei di aggiungere, brevemente: non si ha
più neanche il sospetto che il terrorismo vero non ha a che fare con lo
spirito critico, il dissenso e la capacità di esprimerlo, il rifiuto
dell'acquiescenza: tutti elementi che in questi ultimi anni, con periodiche
accelerazioni, sono stati tollerati poco e a volte aggrediti con estrema
violenza. Tra le doti del buon terrorista, come hanno insegnato i
ciclostilati interni delle Brigate rosse, c'è l'obbedienza, l'adeguarsi,
l'accettazione di una vita militarizzata e scandita da orologi e calendari
altrui, la repressione di ogni dissenso nei confronti dell'"organizzazione".
Tutti elementi che i brigatisti hanno avuto in comune con chi li condanna.
Per questo, però, è necessario approfondire una teoria (e un metodo) del
conflitto e della sua gestione nonviolenta.
Nelle pratiche quotidiane. Tutte.
sabato 17 febbraio 2007
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